Incontro con Paolo Portoghesi

Per gli articoli completi, riferirsi ai link

Maria Teresa Cutrì (link)

l’intervento completo è disponibile seguendo il link.


Domanda 1

Dal gioco di Roma interrotta alla partita a scacchi (2010)
Gli scacchi sono un gioco di strategia … Con Roma interrotta si è portato in superficie le matrici del paesaggio. Con Bateson (e gli Etruschi?) lo spazio del sacro e con Heidegger la strategia del cambiamento passa per il riconoscimento dell’abisso.
Come si continuerà a giocare questa partita?

Domanda 2

Cavita risonanti (le sequenze morfologiche delle forre del Lazio) e  la Cavità “musicale” la campanella nella Porta di Schinkel, pietra aria e musica, Sintesi (di parte) dell’opera e del pensiero di Paolo Portoghesi?

Irene De Simone (link)

1. Per il suo progetto di Roma Interrotta, secondo quanto ha affermato, elementi basilari dell’intervento erano il giudizio, il gioco, la ricerca rigorosa, il sogno, l’immaginazione architettonica. In che modo il suo lavoro riusciva a coniugare l’idea del sogno e dell’immaginazione con l’obiettivo di ricostituire l’effetto psicologico del “già vissuto”, ovvero con il desiderio di un ritorno al passato?

2. La condizione di disgregazione ed estensione omogenea della società contemporanea ha portato le grandi metropoli ad annegare il carattere civile di città storica: i cittadini “usano” la città ma non si identificano con essa. E’ necessario ritrovare lo spazio come elemento primario della struttura urbana. Qual è, a suo avviso, la possibile metodologia di intervento sullo spazio preconfigurato del centro storico di Roma? Avrebbe ancora senso prendere in esame la pianta del Nolli come fu fatto nel 2008 per Uneternal City, all’interno dell’undicesima Biennale di Venezia?


Francesco Ciresi (link)

Roma è Natura, sin dalle suo origini architettura e paesaggio sono progredite di pari passo, l’urbanizzazione, la crescita della città sono progredite insieme all’architettura dei Giardini Romani, rigonfi di piante esotiche, di statue e fontane, i Giardini hanno lasciato spazio alle campagne fuori le mura, alle Ville dei Borghese, dei Pamphili. Roma ha sempre rispettato il suo paesaggio naturale aggirandolo e crescendo attorno ad esso; rispettandone soprattutto l’essenza con la coscienza che quel verde, quegli spazi impropriamente denominati “vuoti” sono realmente parte della forma urbis che da sempre caratterizza la Città Eterna.

Prima che Roma diventasse piatta e informe come una polenta scodellata, i Romani vivevano muovendosi negli strati delle epoche sovrapposte come pesci nell’acqua, in profondità ed in superficie. E certo il male l’ha fatto la speculazione, ma chi ha fatto la speculazione?

G.C. Argan – Introduzione a Roma Interrotta – 1978

Poi è Arrivata la speculazione. Roma ha dimenticato qual’è stata la sua seconda anima, il cemento a preso il posto delle campagne. Da qui la presa di coscienza, la volontà di ripartire, ma ripartire da dove? Nel 1978 la mostra “Roma Interrotta”, cosciente dello strappo, propone il punto di ripartenza. La Pianta Grande del Nolli 1748, la prima carta di Roma elaborata scientificamente, pone in evidenza il tessuto del costruito, alle planimetrie degli edifici di interessi, agli spazi pubblici interni ed esterni, al contesto Naturale.

Negli anni successivi l’attenzione all’ambiente è cresciuta a livello mondiale, e anche Roma che da decenni agognava la necessità di uno strumento che la potesse proteggere, ha finalmente adottato un grande piano urbanistico in cui l’elemento naturalistico e ambientale ne è stato uno dei pilastri ispiratori. Ma questo meccanismo che si è innestato soprattutto nella Capitale dal secondo dopoguerra, si è realmente arrestato? Roma ha ripreso contatto con il suo paesaggio Naturale o questa macchina sta ancora procedendo nascosta intenta a sconvolgere il suo passato?

Maria Anna Petillo (link)

 Analogie tra l’ambiente fisico e urbano:


Veduta di una forra nei pressi di Barbarano confrontata con la via di Panico
veduta di una forra nei pressi di Pitigliano confrontata con uno scorcio dal basso di via Propaganda Fide

Planimetria dell’intervento per la Casa del Popolo a Roma all’interno della ricerca per “Roma Interrotta” del 1978
Gentile Professor Portoghesi, analizzando il suo lavoro re-interpretativo sulle possibilità di crescita, ricucitura e progettazione di nuovi spazi della città di Roma all’interno della ricerca per la mostra “Roma Interrotta”, mi chiedevo quanto le conclusioni da lei tratte, che guardano ad una rilettura naturalistica ed idilliaca della città in riferimento ad un paesaggio pre-urbano, popolato di forre con fortissime erosioni orizzontali e squarci verticali, siano o meno state influenzate dai temi del vuoto, dello spazio cavo, della densità e dell’assenza che erano centro di accesi dibattiti culturali di quegli anni.

Elvira Reggiani (link)

Paolo Portoghesi è un architetto che ha, indubbiamente, segnato il panorama architettonico del nostro tempo. Nella sua lunga ricerca Portoghesi ha sperimentato e continua a sperimentare il disegno come strumento atto ad investigare diversi campi della cultura architettonica. Interessato principalmente agli aspetti storici dell’architettura, egli è riuscito a ricostruire diverse geometrie di importanti opere del passato come ad esempio quelle del Borromini e del Guarini ridisegnandone le linee fondamentali e rintracciandone le ferree leggi geometriche fondative. Ma anche al disegno finalizzato all’elaborazione progettuale egli ha riservato sempre particolare attenzione.
Nella prima fase della sua attività è lo schizzo prospettico a costituire il punto di partenza delle sue elaborazioni, ma negli anni sessanta la pianta diviene l’elemento determinante, il dato iniziale a partire dal quale l’oggetto architettonico si andava assemblando in base ad esigenze razionali e funzionali, quasi in modo meccanico. Questo uso del disegno come strumento rigoroso e scientifico di progettazione, tale che portava con un processo obbligato al risultato finale, viene abbandonato nelle successiva fase della sua attività. A partire dalla progettazione della moschea (1974) Portoghesi torna allo schizzo prospettico, cambia approccio metodologico, i suoi disegni non sono più una sommatoria di funzioni astratte ma uno strumento di indagine volto ad approfondire gli aspetti spaziali e volumetrici.
Al disegno scientifico viene sostituito lo sketch, lo schizzo, una rappresentazione cioè più immediata e più istintiva. Un ritorno alle origini. Elemento comune, sotteso al suo lavoro, è l’uso del disegno per indagare i diversi temi architettonici, per poter confrontare le diverse soluzioni possibili poiché, come egli afferma, non esiste mai una soluzione di un problema architettonico ma infinite soluzioni.
Domanda 1) Nell’era della rivoluzione informatica, in una società in cui ogni attività tende ad essere regolata e mediata dal computer, può ancora avere senso parlare di disegno in mondo tradizionale? Cosa ne pensa in proposito?
Domanda 2) In merito al corso ” Segnare il Paesaggio” da Lei promosso presso l’Accademia di San Luca,  è ancora possibile oggi, a suo parere, nell’era della globalizzazione, parlare di paesaggio “italiano”? Se si, potrebbe indicarne i caratteri distintivi?

Ledian Bregasi (link)

Alcuni degli schemi di lettura e di intervento proposte da Paolo Portoghesi ricordano i processi naturali di crescita. La forma urbis paragonata ai paesaggi tufacei è riproposta attraverso un schema geometrico molto simile agli L-system. Il Lindenmayer system (sviluppato dall’omonimo biologo ungherese)  è un sistema di grammatica formale che si puo usare come un modello dei processi di crescita delle piante. A questo modello di crescita corrisponde anche la forma degli agglomerati di alcune colonie di batteri e funghi.

Questo sistema si basa sulla ripetizione e sulla auto somiglianza delle generazioni che si susseguono. Per capirci meglio, la struttura formale che si crea è molto simile ai frattali o se vogliamo ai broccoli romaneschi.

Approfondendo ancora di più la questione degli L-system si capisce che questa struttura grammatica può rispondere anche al contesto. A questo punto la struttura che si crea è una elemento che cresce secondo una regola immanente ma che comunque risponde al contesto generando forme molto simili a quelle naturali e vive.

Mi è sembrato interessante fare questo approfondimento su alcuni aspetti della generazione delle forme, degli ortaggi romani e della sensibilità verso il contesto

Valentina Garramone (link)

Nella relazione illustrativa del Progetto per la Mostra “Roma Interrotta”del 1978, tratta dal libro di Giancarlo Priori L’Architettura ritrovata, lei scrive:”Anche l’immagine della natura, il verde pubblico, che l’urbanistica prescrive concentrato in zone separate dalla città, penetra qui con violenza nella città, entra nel suo corpo come una mano, con le sue dita articolate, penetra in una massa liquida e l’ossatura di queste mani è l’acqua dei fossati che confluiscono in un unico corso.”. Poichè lei afferma precedentemente che l’ottica dell’intervento è anche quella della “città futura”, vorrei poter parlare con Lei, all’interno del range “Natura”, dell’elemento “Acqua”, che forse viene inteso ancora molto come mero elemento decorativo dello spazio pubblico, di come fu progettato e di come quindi il disegno dei fossati e del corso poteva concretamente applicarsi alla progettazione dei nuovi brani della città in espansione.

Elena Mattia

Il tema di Roma Interrotta e gli stessi progetti presentati erano pervasi da una forte componente critica e utopica che rinnegava le speculazioni avvenute sul suolo romano per riflettere sulle occasioni mancate e sulla proiezione nel futuro. Il Suo approccio progettuale testimonia l’importanza di tornare alle origini per comprendere e ripensare l’assetto di un luogo: “questo ritorno all’ambiente fisico originario era anche il modo migliore per ritrovare il futuro nel passato, per ipotizzare un intervento nel cuore della città antica che potrebbe spostarsi, senza perdere significato, al margine della città nuova, dove spesso la natura è ancora quelle delle forre vergini di Roma prima di Roma”.

Le esperienze di Roma Interrotta ci insegnano, quindi, tre strumenti progettuali fondamentali: la critica come strumento di analisi, l’utopia e l’astrazione, per allontanarsi dalla realtà.

Lei pensa che queste siano ancora le strategie progettuali per disegnare il futuro? 

Laura Colazza (link)

“Ho imparato da Borromini che un cilindro ellittico rappresenta sia l’involucro di un corpo che la sua presenza stessa”. 1

In questo senso il progetto per Roma interrotta è un “grande interno” il cui grande involucro  è la terra  e che parafrasando Borromini  può essere intesa come rappresentazione stessa della presenza dell’umanità.

In questo grande interno c’è un solo orizzonte possibile, (quello della quadratura barocca e delle scene dei Bibiena), e questo orizzonte è il cielo.

La storia dell’architettura è, come sottolinea nel suo libro il  prof. A.Saggio, percorsa da un continuo mutamento di orizzonti:  il piano inclinato e curvo di Mendelshon, il piano orizzontale per Wright (per citarne alcuni) ed il cielo, a mio avviso, per Portoghesi nella sua proposta per “Roma interrotta”. Se questo è vero ed è rilevante nella sua architettura, come questa viene influenzata dal punto di vista  e dal suo orizzonte?

    Paolo Portoghesi, 1982

1)F.Gottardo, Paolo Portoghesi Architetto, Gangemi Editore, 2011

Sarah Karimi (link)

Domanda sul capitolo sesto (Paolo Portoghesi):

Per quanto riguarda la formazione della citta’, in questa presentazione di formazione della citta’ se si sono considerati anche le condizioni di vita e la cultura dei residenti?

Chiara Roma (link)

Nella ricerca da lei effettuata per la mostra “Roma interrotta”, si sceglie la strada tangibile di un percorso futuro guardando la morfologia del territorio, ovvero la natura originaria di Roma risalente agli eventi precedenti la pianta del Nolli. La sua idea di forra è rinvenuta nella città e individua le tracie possibili nella zona del Rione Monti. Un attraversamento dei canali, in cui l’acqua diventa l’elemento traccia, le pareti rocciose invece ricostruiscono lo skyline degli edifici aprendosi nel cielo. Nel suo progetto l’acqua assume un ruolo cardine, il fondo della forra diventa strada e il suo percorso dona al fruitore l’immagine di continuità nel rione, un segno che nel paesaggio rilega gli isolotti, determinandone un’immagine unitaria e strettamente connessa alla natura dei luoghi di “Roma prima di Roma”. Ricercando oggi degli elementi visibili e tangibili non ancora completamente assorbiti dalla città, il concetto d’identità legato alla natura è rintracciabile, a mio avviso, nella presenza del Tevere. Ma nella città contemporanea il Tevere diventa spesso separazione e divisione, senza trovare il suo giusto spazio, in che modo potrebbe invece ridiventare parte della città rispetto alla sua ricerca?

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